Ognissanti vs Halloween

Mi domando da un po’ di giorni quando è stato il momento in cui è successo che invece di celebrare Ognissanti e il giorno dei Defunti, ci siamo ritrovati a festeggiare questa carnevalata sgargiante e chiassosa di Halloween?!

Quando ero piccola, come tutti i miei conterranei,  la sera della vigilia del giorno del Morti, apparecchiavamo la tavola con la tovaglia di fiandra, preparavamo le castagne bollite, mettevamo in tavola i piatti belli, i bicchieri di cristallo e una bottiglia di ottimo vino rosso.

Quello era il pasto per i nostri defunti, la cena dei Morti. Il giorno dopo i cimiteri erano gremiti di persone che andavano a salutare parenti, amici, conoscente passati oltre perché quello era il loro giorno. Era il tempo di ricordarli, di celebrare la morte, per celebrare la vita. Il giorno del ricordo, della condivisione.

Poi un giorno, all’improvviso, si è insinuata nelle nostre vite la fatidica frase “dolcetto o scherzetto?”, i ragazzi hanno cominciato a travestirsi da zombie a festeggiare in rumorose e alcooliche feste, i supermercati a gremirsi di zucche di plastica, ragni e ragnatele gommose, dolcetti pieni di glucosio, coloranti e chi più ne ha più ne metta.

Non ho memoria di quel giorno. Non so dire quando è stato. So che è successo. E così il primo novembre non era più Ognissanti, ma Halloween.

Ma una Halloween hollywoodiana fatta di luci esagerate, di finzione, di travestimenti di bassa qualità: una festa commerciale studiata per anestetizzare la quotidianità.

Perché Halloween, quella vera, nient’altro è che la cristianizzazione di un’antica festa celtica – Samhain – che, celebrata il primo di novembre, rappresentava l’inizio del nuovo anno, il momento della rinascita, a cui anche i morti potevano partecipare.

Halloween deriva  dall’inglese antico «All Hallows eve» e  indica cioè la vigilia della festa di Tutti i Santi o Ognissanti («Hallow» è l’antico modo di dire Santo in inglese), ‘impiantata’ dal cristianesimo sulla più antica festa di Samhain.

Ognissanti, Holloween o Samahin che dir si voglia, è quindi un momento di celebrazione, di unione fra chi era e chi è, un nuovo inizio, un momento lieve per esorcizzare la morte e per sentirsi vicini alle proprie radici.


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